Michele Urrasio

Giancarlo Scoppitto è pisano di nascita e di formazione culturale, ma dauno di sangue, essendo i suoi genitori di origine pugliese.

Ho conosciuto Giancarlo 20 anni fa, quasi per caso, ma dai pochi dipinti che ebbi occasione di vedere ne compresi subito le capacità artistiche.
Di quel primo incontro mi resta specialmente la semplicità di questo pittore e la sua ansia di conoscere le reazioni del pubblico pugliese davanti alle sue opere. La risposta ci fu e del tutto positiva. Il pubblico, in occasione di quella mostra, si interessò alle visioni toscane, alla voce dell'Arno, alle distese verdi della Maremma, agli scorci del sud, alla vasta malinconia del Tavoliere, ai dorsi curvi degli uomini che tentano di esorcizzare la terra per un raccolto migliore, agli sguardi dei fanciulli persi in una luce di speranza, alla saggia rassegnazione dei vecchi che affidano al bastone il compito di sostegno e di compagnia.
Da allora Scoppitto non ha più distolto lo sguardo dal paesaggio contadino: ne ha scrutato i motivi più reconditi, i risvolti meno appariscenti e si è sforzato di imprimerli sulla tela senza forzature, con quella immediatezza che è nota unicamente a chi si avvicina a questi luoghi senza pregiudizi e ne ascolta gli echi e le risonanze.
Di Scoppitto, in quel primo incontro, ammirai il taglio felice, la precisione del disegno, lo sforzo di rendere propri gli accordi cromatici, il proposito di prendere le distanze dal colore, per evitare che questo diventasse protagonista e mezzo determinante nel richiamare l'attenzione del lettore e procurarsene la complicità.
Un proposito che è ancora alla base della produzione dello Scoppitto e che conferisce alle sue opere equilibrio e dimensione di sogno più che consuetudine di vita.
Le opere racolte in questa personale rispettano tale indirizzo, per cui il tema base, "Aspetti caratteristici della Civiltà Contadina", ha profonde radici nel passato, in una cultura della quale restano, ancora oggi, nella realtà presente, ben poche testimonianze. Il segreto dei vicoli, la verticalità del campanile, le rughe dei monti, il linguaggio delle pietre sono proiezioni di tempo che, assai raramente, trovano un riscontro autentico sia nel paesaggio naturale che in quello antropologico.
La cultura contadina che ci riguarda più da vicino è profondamente mutata: la civiltà, i mezzi di comunicazione, le relazioni sociali ne hanno inciso il volto e il modo di vivere; ha una sua dignità, una sua coscienza, un ruolo preciso negli eventi politici, economici e culturali.
Sicchè, se è pienamente avvertibile la struggente voce della Pianura, l'apprensione dei volti, il riserbo delle donne, non si ha più occasione di trovare nelle nostre case elementi e oggetti che caratterizzano il passato, né si ha più l'opportunità di cogliere scene e voci che rivivono da tempo solo nella memoria, nell'immaginazione, nel desiderio di rendere vivi e attuali momenti di vita, che non sono ricordi, proiezioni perdute.
E' in questa chiave che bisogna leggere le opere dello Scoppitto che, nonostante la giovane età, dimostra di avere acquisito un modo personale di esprimersi e di interpretare la realtà che lo circonda e di saperla popolare di elementi che furono nostri, ma che appartengono decisamente al passato.
L'intento dello Scoppitto - almeno in questa personale - non è certo quello di raccontare la realtà in cui siamo costretti a vivere, le incertezze, i dubbi e le finzioni della nostra esistenza, ma si incentra nel proposito di salvare una parte di noi - la più autentica, la più vera: di riproporre, cioè, sulla tela i termini di una ricerca che metta a confronto due epoche e che, riportandoci indietro nel tempo, ci permetta di riconsiderare, con decantata lucidità, gli esiti cui è approdato l'uomo nel suo itinerario di lotte e di conquiste, di sofferenze e di progresso.
Per avere una misura delle qualità artistiche di Giancarlo Scoppitto, del suo linguaggio e della sua singolare capacità compositiva, è sufficiente dare uno sguardo alle opere più significative. Ma l'espressione pittorica di Scoppitto, perché sia colta nei termini di una visione globale ed esauriente, imporrebbe un esame attento e approfondito, per via della tematica varia, che oscilla dalla delicatezza della natura morta alla ricerca prospettica - tridimensionale a volte, dallo scandaglio nell'umano agli interessi per l'allegoricità esistenziale.
Ed è stilisticamente efficace per la puntuale resa di luci ed ombre, per l'analisi accurata degli elementi che fanno della forma e del contenuto due "momenti" di unico risvolto, in cui la personalità dell'artista appare nella sua completezza.
Una sincera partecipazione alle apprensioni dell'uomo è data cogliere nell'opera Mietitura , dove il disegno architettonico include riscontri e interrogativi che ascendono dal taglio cupo del terreno in primo piano verso toni meno decisi, che si frantumano e si ricompongono nella trasparenza dell'aria, negli scomparti del dipinto sapientemente equilibrati.
La lettura è incentrata su due poli opposti: è tutta compresa, cioè, tra la diligenza e la volontà dell'uomo di portare a termine il suo lavoro e una possibile minaccia dal cielo.
Dall'alto della collina, scavata dal tempo, il castello sorveglia inerme il ripetersi di una secolare avventura, né sono riparo gli alberi che tentano di improvvisare un sipario contro le forze avverse: la vita recita la sua parte senza ripensamenti o battute di arresto.
Di rilievo ci sono sembrate, anche, le composizioni che mirano a ricostruire, su un tessuto urbano attuale, scene desunte dalla memoria o risvegliate dall'affettuoso desiderio di far rivivere il passato.
Ed ecco che, quasi per incanto, ci si para davanti agli occhi la vecchia intenta a separare i chicchi di grano dalla terra o dalla minaccia del loglio; la mamma che, seduta sulla scalinata di mattoni, offre il petto al piccolo; la donna che, all'ombra dell'antico campanile, dipana, con il filo della lana, le tappe dei suoi ricordi; il colloquio notturno rischiarato dalla luce che piove dall'alto e spinge sillabe e pause lungo il labirinto delle scalinate.
Sono motivi suggestivi, che non si esauriscono nello scenario del vicolo o del particolare dello scorcio, ma che trovano appiglio e significato anche negli interni dove l'analisi degli elementi si fa minuziosa e dove la solitudine trova corpo nell' immobilità forzata dell'uomo e degli oggetti che hanno rappresentato una vita di stenti e di lavori: un'esistenza, ora spesa dietro l'aratro tirato dalla pazienza del cavallo, ora sostenuta dall'attesa di raccogliere olive e grano per un lungo anno da vivere, ora, infine, scandita dal ritmo del carro, la cui ruota, nella memoria di molti, continua a colmare spazi e a sollevare polvere e pietre.
Un mondo idillico, questo dello Scoppitto. Un mondo popolato dalla presenza di uomini e di cose, che è impossibile oggi ritrovare nella quotidianità, nella vita di ogni giorno.
Remoto e quasi impercettibile è il suono delle zappe nelle terre pugliesi, il canto delle "furrettane": oggi il rombo del trattore riempie l'aria, e le macchine e gli attrezzi agricoli hanno mitigato, in modo determinante, le fatiche dell'uomo.
Scoppitto ci offre una realtà diversa dalla nostra.
Ma gli si deve essere grati, perché ci permette di immergerci nel passato: di ripercorrere i sentieri che furono attenti testimoni del nascere e dello spegnersi di eventi che determinarono il nostro destino; di rivisitare luoghi e consuetudini, scene e gesti atavici; di riconsiderare, insomma, la nostra cultura che, a giudicare dalle opere esposte, conserva ancora, intatti, il fascino e la forza dei suoi conflitti e delle sue magie.
Alla luce dei risultati raggiunti - certamente positivi, anche se da Scoppitto ci si aspettano prove convincenti e pregnanti - , si può affermare che come Van Gogh trovò il suo paesaggio in Provenza, così lo Scoppitto lo ha trovato in Puglia, della quale non si sofferma a considerare soltanto i colori e i richiami, le stagioni e le forme, ma affonda in essa il suo sguardo, nell'intento di carpirne i segreti e dare vita a una dimensione che è impossibile cercare altrove se non in se stessi, nella propria coscienza e nel proprio passato.
Perciò la pittura di Scoppitto non si collega come espressione o riproduzione fedele di quanto cade sotto i nostri sensi, sia pure in forme prorompenti e suggestive.
Essa tenta di andare al di là del dato visivo: cerca di scrutare nelle zone d'ombra, per riportare alla luce accanto alla geometria del vaso, alla trama del drappo, alla morbidezza del nudo, le visioni e i costumi, i tipi caratteristici e le tappe più significative dell'itinerario umano, attraverso composizioni rapide nella realizzazione, ma severe nello studio e nell'analisi del soggetto, una pittura descritta con un linguaggio disteso, con una trasparenza che non lascia adito a interpretazioni soggettive, contrastanti o avventate.
Una pittura "discreta come è discreta la nostra vita, come è la nostra terra, piena di segreta sensibilità", ma ferma e pronta a offrire il suo messaggio e ad entrare, in punta di piedi, nel cuore di tutti.
MICHELE URRASIO

La riscoperta del passato, attraverso una rilettura attenta e affettuosa, è il denominatore comune che sorregge questa mostra di Giancarlo e Paolo Scoppitto. Due fratelli che avvertono in maniera prepotente il richiamo dell'arte, tanto da elevarlo a motivo di vita. Sono essi due aspetti di un'unica passione.
Paolo Scoppitto, al suo esordio ufficiale, cerca la riconferma del giudizio che il pubblico gli ha riservato fino ad oggi, per impegnarsi definitivamente e con maggiore convinzione nella sua ricerca improntata sulla freschezza, sulla spontaneità, sul gesto rapido e incisivo. Dati decisamente positivi, che traspaiono dai suoi acquerelli dal tratto essenziale e dalla felice resa cromatica.
Pur essendo giovanissimo,egli è in grado di creare opere che lasciano ben sperare nel suo futuro di artista, e che lo rendono più che una promessa. Un segno evidente, al di là di ogni altro elemento, è l'allargamento dei temi e la presenza di nuove soluzioni, che rendono le sue prove varie e meditate.
Un indizio, questo, che costringe Paolo Scoppitto ad una presa di coscienza più responsabilizzata delle proprie possibilità e del suo impegno di far sì che le semirette della nostra storia - proiettate verso il passato e verso il futuro - trovino in lui, nei suoi personaggi e nelle sue visioni, un punto d'incontro e d'analisi.
Giancarlo Scoppitto prosegue, senza incrinature, il suo itinerario verso traguardi sempre più impegnativi: ospite del Ministero del Turismo e dello Spettacolo nell'ottobre 1984, è ritornato qualche mese fa a Lucera, dopo il successo riscosso al Circolo Unione, per esporre nelle sale del Museo Civico "G. Fiorelli" con l'alto patrocinio del comune di questa città.
Riapproda ora, a breve scadenza, nella nostra terra con immutato entusiasmo e palese gratitudine. La pluralità di motivi e di espressioni, di cui Giancarlo è capace, gli hanno permesso di toccare punte pittoriche davvero alte, dove le situazioni, i personaggi e i luoghi,tratti assai spesso dalla civiltà contadina, hanno saputo restituirci una larga eco di cultura e di storia perduta tra le trame della moderna inquietudine.
Nelle sue opere ritornano, in termini artisticamente felici, gesti perduti, sforzi disumani, volti severi e dolorosi, eppure sereni nella certezza di avere compiuto fino in fondo il proprio dovere, di avere recitato scrupolosamente la parte ricevuta da un regista lungimirante e consapevole della sua scelta.
Il suo dipingere è un attento sguardo nell'uomo: la testimonianza dei suoi progressi tecnici, ma la constatazione anche della perdita della sua dimensione più vera e più propria.
Due espressioni artistiche, pertanto, diverse e personali.
Due modi di esprimersi e di denunciare l'ansia e lo sforzo di essere se stessi senza infingimenti.
Con serietà e coraggio.
MICHELE URRASIO